
Tutti vogliamo essere amati,
e se questo non accade, essere ammirati,
e se questo non accade, essere temuti,
e se questo non accade, essere odiati e disprezzati.
Vogliamo risvegliare un’emozione
nell’altro, quale che sia.
L’anima rabbrividisce davanti al vuoto
e cerca il contatto a qualsiasi prezzo
(Hjalmar Soderberg)
Oggi prendiamo spunto da un libro che abbiamo letto per approfondire alcuni temi importanti, soprattutto in questo periodo, di ascolto e accettazione di sé.
Parliamo del testo “Le cinque ferite e come guarirle” di Lisa Bourbeau, un libro semplice e concreto. Rifiuto, abbandono, ingiustizia, umiliazione e tradimento sono le 5 ferite che ci impediscono di essere ciò che siamo davvero, sono i cinque principali condizionamenti della nostra esistenza. E’ probabile che le abbiamo quasi tutte, sebbene una o due prevalenti.
Non vogliamo parlartene per indurti alla sfrenata ricerca della tua ferita dominante o di quella delle persone che conosci, l’intento di questo articolo è di comunicarti che è normale sviluppare meccanismi di difesa indossando maschere che non ci permettono di essere quello che siamo. E che ciò è ancora più vero quando situazioni difficili come quelle in cui ci troviamo adesso cambiano le carte in tavola della nostra vita, non permettendoci di incontrare amici, uscire, fare sport, frequentare luoghi in cui ci rigeneriamo periodicamente. In questo periodo c’è il rischio di dimenticarci la nostra maschera addosso per un periodo più lungo, aumentando il livello delle nostre ferite, mancando momenti di risonanza con gli altri o comunque con situazioni di risveglio. Una persona che indossa la maschera, afferma la Bourbeau più volte nel suo testo, “è in fase reattiva e quindi non è centrata, non è nel proprio cuore, e non può né essere felice né stare bene”.
Le ferite sono impresse nella nostra mente e nel nostro corpo e per difenderci da esse noi creiamo una maschera. La maschera è data da convinzioni e difese comportamentali che plasmano il nostro carattere, ci condizionano, ci boicottano, non fanno fluire le emozioni liberamente e, nel caso di ferite profonde, si manifestano sul nostro corpo (rigidità, eccessiva magrezza, accumulo del grasso in certe zone, ecc.), impedendo la nostra realizzazione.
La creazione di queste ferite risale all’infanzia ed è legata principalmente al rapporto con i genitori: abbiamo memorizzato emozioni e sofferenze, non le abbiamo accettate, non ci siamo perdonati di provare sentimenti negativi per essi e questa parte di noi stessi è viva, pulsa sotto la nostra pelle, e si ripresenta nel corso della vita, spesso riproponendoci le situazioni non risolte come se le attirassimo. Non per stare peggio, ma per aiutarci a comprendere e guarire. Sebbene non possiamo qui dedicare il tempo che l’autrice occupa nel suo libro per spiegare le ferite, possiamo fare un esempio che può aiutarci a comprendere: una persona che vive la ferita da rifiuto ha sviluppato questa ferita nei primi anni di età probabilmente con il genitore dello stesso sesso, un caso comune è il figlio nato del sesso opposto di quello desiderato dal genitori. La persona rifiutata non è oggettiva e con il tempo interpreta gli eventi attraverso il filtro della sua ferita, sentendosi respinta anche quando non lo è. Appena il piccolo comincia a sentirsi respinto, indossa la maschera del “fuggitivo”, una nuova personalità, la maschera appunto che viene sviluppata per non soffrire.
Come uscirne fuori? Come iniziare a vivere liberi emotivamente?
Dobbiamo comprendere che le maschere sono difese, sono il nostro ego e non noi stessi. Che per iniziare a far vivere noi stessi, dobbiamo liberarci di queste maschere e fare l’opposto di ciò che abbiamo fatto finora. Amare e accettare una ferita significa riconoscerla, significa comprendere che le esperienze della nostra vita possono aiutarci a guarire, significa comprendere che non esistono bambini (e persone) cattive, ma bambini (e persone) sofferenti e perdonarci, significa accettare di avere indossato quella maschera e accettare che il nostro ego abbia voluto proteggerci.
Dobbiamo comprendere che indossare la maschera esprime il tradimento più grande di tutti: dimenticare chi siamo.