
Nel suo libro L’arte di amare, Fromm afferma che la capacità di amare in una vita individuale dipende anche dall’influenza che la civiltà ha sul carattere della persona media.
Ma, continua Fromm, “il capitalismo moderno necessita di uomini che cooperino in vasto numero; che vogliano consumare sempre di più; i cui gusti siano standardizzati e possano essere facilmente previsti e influenzati. Necessita di uomini che si sentano liberi e indipendenti, che non si assoggettino ad alcuna autorità e tuttavia siano desiderosi di essere comandati, di fare ciò che ci si aspetta da loro, di adattarsi alla moderna macchina priva di frizione; che possano essere guidati senza la forza, guidati senza capi, incitati senza uno scopo, tranne quello di rendere, di essere sulla breccia, di funzionare, di andare avanti”.
L’uomo ne esce quindi oggetto, sempre più staccato dalla sua natura, dalle sue forze vitali, dallo sviluppo di un pensiero libero e divergente, sempre più solo. E questo è così palesemente davanti agli occhi di tutti. Dobbiamo rendere, performare, scambiare e ricevere, consumare, divertirci.
Come può allora l’uomo imparare e praticare l’arte di amare?
Vi lasciamo all’ultimo capitolo del libro, per una possibile risposta dell’autore, da leggere o rileggere. Chiudiamo questo articolo parlando di uno dei fattori necessari citato da Fromm proprio in questo ultimo capitolo, il supremo interesse. Se l’arte non è sentita come qualcosa di necessario, di suprema importanza, indispensabile da padroneggiare, allora l’apprendista non imparerà mai.
E questo vale per tutte le arti.